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VERSO GLI STATI GENERALI DELL'ASSOCIAZIONISMO IN EMIGRAZIONE


INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA CNE, LUIGI PAPAIS AL SEMINARIO ORGANIZZATIVO TENUTOSI A ROMA IL 13 DICEMBRE 2014



Verso gli Stati Generali dell'Associazionismo in Emigrazione La mia riflessione incomincia con l'esperienza, non esaltante, dell'ultima fase dell'attività della CNE, attualmente in fase di sonno, come si suole dire. Al di là dei miei limiti, va detto che quanti partecipavano ancora all'attività di questo organismo di coordinamento, si sono resi conto che una fase della vita dell'organismo medesimo era arrivata al capolinea.

Lo scarso interesse dimostrato da alcuni compagni di viaggio, dimostrava a mio avviso due limiti: il cambiamento di un epoca dell'associazionismo migratorio rispetto agli anni '70 nei quali era nata la CNE e dall'altro la crisi sia di risorse umane e finanziarie come pure di posizionamento delle associazioni aderenti.

L'invecchiamento dei nostri quadri dirigenti e organizzativi da un lato e la duplicazione, meglio la triplicazione dei soggetti della rappresentanza del mondo dell'emigrazione, rispetto a quando le nostre associazioni erano gli unici soggetti che collegavano e rappresentavano gli emigranti, anziché aumentare le tutele nei loro confronti in definitiva le hanno paradossalmente diminuite.

Diceva, povera mia madre, che laddove comandano in molti, di fatto non comanda nessuno, perché ognuno confida nell'altro e all'altro attribuisce le responsabilità delle cose negative e viceversa si aggiudica il merito di eventuali -pochi- successi.

La dicotomia, diciamo così, tra associazioni-CGIE/COMITES-eletti all'estero ha decisamente complicato le cose, senza che i veri destinatari del reciproco attivismo organizzativo -chiamiamolo così, pur con una differenza di gratuità- ne avvertissero alcun vantaggio.

Aggiungiamo il protagonismo, talvolta effimero, altre volte estemporaneo e quasi sempre slegato dalla tematica dei diritti civile e delle tutele sociali degli emigranti, svolto dalle Regioni, alla fine si trova la spiegazione del perché la confusione regni sovrana in questo ambito, con reciproca insoddisfazione.

Anzi, in più occasioni, sono sorte delle dispute perniciose sul primato della rappresentanza, dico perniciose, perché nella realtà tra una elezione e l'altra vuoi dei COMITES e del CGIE, che dei parlamentari eletti all'estero, vuoi delle visite autoreferenziali delle delegazioni regionali, le uniche presenze effettive e sempre attive nei luoghi di emigrazione erano e rimanevano soltanto le diverse associazioni emigratorie, pur con dei comprensibili alti e bassi che definirei fisiologici.

Non voglio sminuire ne accusare nessuno, semmai anche noi abbiamo delle responsabilità che poi cercherò di spiegare, ma l'eutanasia del CGIE e dei COMITES, chiamiamola così per non addentrarci oltre, e la vastità delle circoscrizioni elettorali estere, ci autorizzano a dire che senza la copertura delle associazioni, per quanto biasimate, il collegamento tra madre Patria e i nostri emigranti sarebbe finito da quel giorno.

Permettetemi di aggiungere, accanto alle associazioni, la Chiesa italiana che si è fatta carico di aprire Missioni cattoliche di lingua italiana in molte zone di emigrazione. Migliaia e migliaia di italiani nel mondo si sono mantenuti in contatto tra di loro in questa piazza reale, non virtuale, mantenendo viva l'italianità partendo da un dato religioso che, fuor di dubbio è un dato altamente sociale.

L'operato della Fondazione Migrantes, a tale riguardo, ha un'autorevolezza riconosciuta dentro e fuori i confini nazionali e perciò non mi attardo oltre.

Anche i patronati hanno operato e stanno operando pure con i sindacati, per la tutela degli interessi degli emigranti, ma vuoi nelle competizioni elettorali, vuoi nell'approvvigionamento di risorse finanziarie, non sempre hanno operato con limpidezza per quanto riguarda i fini ultimi.

Il problema odierno però, e quello della tutela in Patria di questi interessi, che stanno venendo sempre meno di anno in anno, supportati talvolta anche dal voto favorevole in Parlamento di quanti per logica, se non per passione, dovrebbero comportarsi in modo diverso.

Le contaminazioni politiche, chiamiamole così, a loro volta hanno fatto si, che per bassi interessi di partito, si siano create confusione e divisioni tra gli italiani all'estero, di difficile comprensione, sospettate di scarsa trasparenza e per niente incisive alla prova dei fatti.

Aggiungiamoci la gestione altalenante del Ministero degli Esteri, i forti tagli alla spesa diretta ai soggetti emigranti senza che la spesa del Ministero e della macchina diplomatica diminuisse concretamente, lo snobismo nei confronti delle associazioni e il quadro si complica ulteriormente.

Ne hanno fatto le spese il sostegno ai bisognosi, i corsi e la valorizzazione della lingua italiana, la stampa e l'editoria, già falcidiate dagli aumenti postali, facendo venir meno o complicando l'azione di collegamento tra le associazioni centrali e quelle periferiche e con gli associati.

Cosa attenderci, quindi, da un quadro così funesto, parzialmente motivato dalla crisi economica che colpisce un po' tutti e quindi anche gli emigranti e quanti si occupano di loro?

Vi sono ancora margini di speranza oppure chiudiamo la nostra esperienza, quella dei nostri fondatori e la nostra di discendenti che hanno nostalgia del passato ma che devono misurarsi con le difficoltà, tante del presente?

Vediamo di mettercela tutta per riscoprire in primo luogo le ragioni del nostro stare assieme, poi le modalità di riorganizzazione, prima in sede centrale e poi su base periferica.

Siamo in grado di trovare interlocuzione qualificata con agli organi pubblici preposti alla tutela dei diritti sociali degli emigranti, in Italia e nel mondo, mettendo in rete il mondo associativo che fa riferimento a noi, individuando anche altre forme nuove di associazionismo che non siamo fin qui riusciti ad intercettare, rinnovando su basi attuali accettabili le nostre associazioni che -diciamolo- non sono più quelle dei tempi d'oro?

Allora, dopo l'analisi, passiamo ai progetti, occupandoci del nostro ambito particolare, quello dell'associazionismo, tralasciando gli altri aspetti che non sono nostri e che abbiamo elencato ai fini della comprensione dei problemi.

Diciamo che l'associazionismo, autentica forma di sussidiarietà e di solidarietà per e tra gli emigranti, va difeso a denti stretti. Rimane uno strumento essenziale se non si vuol smarrire una rete di italianità che fa grande il Paese e lo proietta di una luce necessaria a non sfigurare, anzi a risalire la china in cui ci troviamo e che si abbassa, come immagine, di giorno in giorno.

Quando in Canada, lo sentiremo nella videoconferenza, sui 230 mila ingressi consentiti per il 2015, solo 500 saranno riservati agli italiani, e ci dicono perché non vogliono importare la mafia e il malaffare, ci rendiamo conto dell'impatto negativo dei fatti di questi giorni.

L'operosità dei nostri emigranti, il loro sapersi auto-organizzare, i loro quadri e le loro eccellenze, rappresentano degli antidoti da far valere e da saper giocare, purché non siano frazionate in ambiti ristretti di tipo regionale o sub-regionale.

Una delegazione friulana, permettetemi la civetteria, che va in visita alla Cina, cosa rappresenta nella carta geografica globale? Un micro-puntino, visto che già l'Italia graficamente appare poca cosa. Con chi si incontra un assessore regionale? Forse con un generico funzionario di terza classe, per non dire altro?

L'internazionalizzazione e la promozione economica non è materia delle associazioni, questa impostazione è dannosa alla vita reale delle associazioni. Germania e Francia promuovono le loro economie e i loro interessi facendo far quadrato ai loro sistema paese, mettendoci dentro banche, industrie, poteri palesi e occulti.

Un sodalizio regionale che si improvvisa soggetto economico travisa la propria funzione sociale. Può dare supporto logistico a qualche avvenimento, traendovi forse un piccolo tornaconto economico, ma non va oltre.

Promuovere la cultura di una regione o provincia non è sufficiente per dare la valenza sociale ad una associazione. Il patrimonio verso di un'associazione è rappresentato dal corpo sociale, dai soci, dai badilanti e non dalle eccellenze.

Non a caso le associazioni che funzionano di più sono quelle dei Paesi più poveri, vedi l'America Latina, proprio perché lì non si è persa la dimensione umana e la propensione alla promozione umana:

Così come stiamo, prevalentemente autoreferenziali, non andiamo da nssuna parte. Bisogna superare il provincialismo, il regionalismo, categorie oggi al ribasso nel sentimento comune, in Italia e all'estero. Da qui la nostra sottolineatura di associazioni storiche nazionali o di coordinamento di quelle regionali, che oggi torna a trovare maggiore ragione.

Se abbiamo una responsabilità è stata quella di non aver capito come cambiava il mondo dell'emigrazione, di esserci rassegnati a veder finito il nostro ruolo, di esserci rassegnati al sorpasso dell'immigrazione nel nostro Paese rispetto all'emigrazione, di non aver memorizzato che la nuova emigrazione è fatta di emigranti altamente qualificati, figli di Erasmus, che già di per se è stata rete di conoscenza e di sostegno.

Qui la rete regionale non tiene, nemmeno le associazioni di corregionali presenti in Italia tiene più se non come club autoreferenziale per seniores, da non distruggere, ma da non confondere con ciò che noi diciamo di voler rappresentare.

La sfida che abbiamo di fronte è dunque quella di saper giocare nelle nuove reti, forse non stabili perché prevalentemente temporanee, senza buttare a mare quanto già esiste, ma che non è più autosufficiente.

Come dire, pensiamo a due velocità, una quella dei seniores ad esaurimento, e l'altra quella della nuova emigrazione, che come detto ha le sue reti, che sono però prevalentemente virtuali e che a un certo punto hanno bisogno di interfacciarsi con quelle dei seniores.

Essere globali vuol dire non avere relazioni, almeno dal vivo e vuol dire superamento dei provincialismi.

I seniores, che sbrigativamente definiamo autoreferenziali, possono tornar utili proprio in termini di referenze da dare alle nuove generazioni quando dal mondo virtuale entrano in quello reale, incontrando spesso notevoli difficoltà.

E' chiaro che sto parlando di italiani nel mondo con passaporto italiano, dunque con diritti e doveri e non degli italiano-discendenti. Questi sono soggetti da non trascurare, ma che rivestono solo un interesse prevalentemente culturale.

Gli italiani che vivono oltre oceano hanno una visione vissuta o raccontata di un Italia che non c'è più, l'Italia è cambiata, non è più Paese di sola emigrazione ma soprattutto di immigrazione. Due facce della stessa medaglia.

Quindi associazionismo si, a condizione che sappia reinventarsi, che sia massa critica, che sappia farsi portavoce in Italia e nei paesi di emigrazione delle vere istanze degli emigranti. Fare solo la sagra all'estero il giorno in cui si fa in Italia, non basta, o meglio bastava ai vecchi, ma non ai giovani.

Occorre saper rappresentare gli interessi degli emigranti, aiutarli a risolvere i loro problemi, ad affrontare le varie situazioni, soprattutto a difendersi dai pregiudizi negativi, formarli in Italia prima che se ne vadano all'estero.

Perciò alcune modalità di vita associativa all'estero vanno modificate, se vogliamo rivolgerci ai giovani e non solo guardare al passato, glorioso ma che non si ripete più. Internet e i social network sono mezzi che incontrano certamente il favore dei giovani, che integrano cioè la presenza di strutture snelle nei luoghi di emigrazione con un contratto permanente con le sedi centrali delle associazioni.

Guardiamoci in faccia, una nostra singola associazione, presente in un contesto e non nell'altro, può fare fronte a queste nuove esigenze?

La rete che più volte veniva e viene invocata la si può realizzare solo con una sinergia tra tutti noi……










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