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ANCHE GLI EMIGRANTI ITALIANI TESTIMONI DI GESÙ RISORTO, SPERANZA DEL MONDO (*)

Il grande Giubileo del 2000 ci ha introdotto nel terzo millennio in una situazione non priva di difficoltà epocali presenti nelle varie situazioni locali e in quella più globale che abbraccia tutto il mondo. La secolarizzazione, il relativismo etico, l'individualismo e lo smarrimento del senso di Dio rendono la vita difficile sia per se s'affosso fasto d'affetto i credenti sia a quanti non credono.

Se aggiungiamo poi i problemi del fanatismo religioso e della difficoltà d'integrazione di molti appartenenti ad altre grandi religioni, ormai ovunque presenti, che partendo dai loro Paesi d'origine non sanno separare la sfera religiosa da quella civile, il quadro che abbiamo di fronte a noi si presenta abbastanza angosciante.

La pace nel mondo è ancora un miraggio: venti di guerra, prevaricazioni d'ogni tipo, fame e miseria continuano a tormentare una gran parte della popolazione mondiale.

In questo quadro la Chiesa italiana celebra a Verona il suo IV Convegno Ecclesiale Nazionale, infondendo a quanti vivono in Italia e quanti altrove si sentono italiani, un messaggio di speranza. Una fiducia ragionevole, che non deriva da nessuna soluzione politica od economica, ma esclusivamente dai principi della nostra fede cristiana, che annuncia a noi e ci invita ad annunciare che Cristo è risorto ed è la speranza del mondo! In una realtà dove nulla è stabile e tutto è fluido, un messaggio di questa portata è destinato a spingerci nel proseguire la nostra azione di testimonianza individuale ed ecclesiale.

Una sfida notevole che, come ai tempi in cui l'apostolo Pietro svolgeva il suo ministero, presuppone impegno, coraggio e determinazione.

Cambiamenti epocali

Pensando ai tre precedenti Convegni nazionali, quello di Roma nel 1976, di Loreto del 1985 e di Palermo del 1995, ci rendiamo conto subito quanto sono cambiati gli scenari nazionali ed internazionali in questi quarant'anni. Riflettiamo sulla nostra Italia così spaventosamente invecchiata, sull'Europa che non intende riconfermare esplicitamente le proprie radici cristiane e sul mondo intero che, per certi versi, è considerato una specie di polveriera sempre pronta ad esplodere.

Sono sì caduti i muri delle ideologie, ma quando sembrava che, con il dissolvimento dei pesanti fardelli lasciatici in eredità dal "secolo breve", tutti i problemi fossero risolti, abbiamo invece registrato disorientamento, smarrimento e tante altre incertezze.

La giustizia distributiva è ben lontana da una benché minima affermazione ed anzi a causa del consumismo si è ancora più accentuata. Pensiamo poi alle tante povertà presenti nella nostra società: anziani che vivono in solitudine; giovani che non trovano lavoro e non formano così la propria famiglia. Parliamo poi delle famiglie che al giorno d'oggi non osano più oppure non possono mettere al mondo figli e più in generale ad una cittadinanza che stenta sempre più a dirsi compiuta.

Guardando poi, ad esempio, alla sanità sappiamo che essa non è eguale per tutti e le tante disparità esistenti anziché diminuire aumentano.

Esodi, migrazioni e Parola di Dio

Apriamo ora una finestra nel mondo delle migrazioni, utilizzando il termine che la Chiesa ci invita ad adoperare. Dal punto di vista civile e burocratico usiamo definire emigrazione il fenomeno che riguarda coloro che lasciano un Paese per andare a vivere in un altro. Al contrario si parla di immigrazione per definire l'accadimento che sposta in un Paese, il nostro in particolare, quanti giungono da fuori, provenendo per di più da Paesi contrassegnati da conflitti, dittature, miseria. La Chiesa non fa invece alcuna differenza tra emigranti ed immigrati e ci richiama sempre ai doveri di solidarietà e di accoglienza.

Come afferma infatti la prima lettera di Pietro (1Pt 2,11), quella che ispira il Convegno di Verona, i cristiani « stranieri e pellegrini» del tempo, sanno di poter essere rigenerati continuamente dalla speranza, perché le tristezze e l'angoscia del tempo sono «gettate» nelle mani del «Dio di ogni grazia».

La Scrittura è piena di ammonimenti riguardanti diaspore, migrazioni, deportazioni, costruzione di città nuove. L'Apocalisse (18, 17-24) contiene un monito per coloro che chiudono le porte in faccia di stranieri o pensano di erigere nuovi muri « Guai, guai immensa città del cui lusso arricchirono quanti avevano navi sul mare! In un'ora sola fu ridotta a un deserto». Mentre Pietro (2Pt, 11-17), a quanti vorrebbero rispondere con la violenza alle violenze, ammonisce: « la vostra condotta fra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio».

Dobbiamo convenire che il nostro modo di pensare che soprattutto quello del mondo è oggi molto distante dai percorsi che ci suggerisce la Scrittura. Senza fare tante analisi, dobbiamo registrare che pregiudizi ed egoismo ci hanno condotti molto distanti da quella che è la verità evangelica.

Peggio ancora: crediamo di difendere i valori della nostra religione attraverso inaccettabili forme di chiusura nei confronti di chi è diverso di noi.

Una chiesa credibile perché vicina agli ultimi

Tra i messaggi di speranza di questo inizio secolo, rileviamo innanzi tutto come la Chiesa in Italia sia ora più che mai in un'Istituzione credibile, cresciuta molto sia nella testimonianza del messaggio evangelico, sia come soggetto che ha saputo farsi carico delle ragioni degli ultimi. Il superamento d'ogni collateralismo politico, utile in certi momenti del passato ma ora impensabile, l'hanno resa libera di annunciare il Vangelo a tutte le persone di buona volontà.

Il grande impegno di accoglienza nei confronti degli immigrati l'ha resa ancor più attendibile e perciò ancor più ascoltata, anche da persone considerate un tempo troppo distanti.

Contemporaneamente non è mai venuto l'impegno costante nei confronti di quanti hanno lasciato l'Italia per andare all'estero. Ovunque nel mondo, nonostante l'evidente calo di vocazioni, c'è qualche missionario italiano che, in accordo con la Chiesa di accoglienza, si preoccupa di stare vicino a quanti sono stati battezzati in Italia e ai loro discendenti.

Quella dei missionari italiani nel mondo è una grande realtà, sia dal punto di vista religioso sia da quelli sociali e culturali. E' certamente merito anche loro se, in collaborazione con le autorità dello Stato e con le associazioni dei connazionali e corregionali, l'italianità è ancora un sentimento diffuso nel mondo.

Questo sentimento si è ora trasformato in un ponte ancora più grande, poiché a quanti parlano l'italiano perché nati in Italia o sono figli d'italiani, si è stanno aggiungendo tanti immigrati e i loro familiari che, vivendo per un periodo nel nostro Paese, trasmettono altrove quantomeno la nostra lingua.

Anche i tanti sacerdoti stranieri, che hanno vissuto o studiato in Italia, attraverso l'apprendimento del nostro idioma si rendono o potranno rendersi utili per condurre alcuni spazi di pastorale italiana.

Pure questo è un segno dei tempi, che trova però anche un'antica radice già nella Genesi (Gn11, 1-9) ed una maggiore esaltazione negli Atti degli Apostoli, quando viene narrata la Pentecoste.

Nelle Missioni Cattoliche Italiane viene certamente fornita assistenza morale ed altre forme di carità cristiana, ma è soprattutto garantita assistenza spirituale a quanti si sentono più partecipi della Chiesa pregando nella loro lingua natia. Di certo non sono mancati e non mancano gli accordi tra la Chiesa di partenza, cioè quella italiana e quella d'arrivo, vale a dire quella dei luoghi in cui i nostri emigranti vivono, per fornire in ogni caso un'assistenza pastorale a tutti i migranti.

Ciò sta capitando ora anche in Italia nei confronti dei numerosi immigrati che stanno ottenendo sempre più celebrazioni nelle loro lingue e l'assistenza da parte di sacerdoti provenienti dai loro Paesi.

Questa azione pastorale si svolge, in ogni caso, mediante l'assenso e la collaborazione dei rispettivi vescovi e i sacerdoti italiani all'estero, come quelli stranieri in Italia, non operano perciò soltanto per i loro fedeli ma per l'intera Chiesa.

Anche questo è un segno di comunione e rappresenta allo stesso tempo l'attenzione che la Chiesa italiana mantiene nei confronti di tutti gli italiani che sono nel mondo e degli immigrati in Italia.

Compito che si allarga anche verso i nostri nuovi emigranti, vale a dire i giovani che nel recente hanno scelto e scelgono di andare all'estero per mettere a maggior frutto la loro professionalità.

A Verona anche i delegati degli italiani nel mondo

Un segno della crescita avvenuta nella Chiesa italiana è quello della presenza a Verona dei delegati degli emigranti italiani, laici e sacerdoti, scelti accuratamente per rappresentare l'emigrazione italiana nel mondo.

Questa è una grande conquista degli emigranti e allo stesso tempo un grande segno di sensibilità da parte della Chiesa italiana. Se è vero che la fede cristiana e l'italianità tengono uniti i nostri emigranti con la nostra Chiesa, è altresì vero che quanti vivono all'estero hanno delle esigenze molto particolari, che è giusto far conoscere anche alla Chiesa italiana.

Inoltre, la particolare esperienza vissuta dai nostri emigranti nelle loro infinite vicissitudini può essere utile in questo momento, contraddistinto da tante discussioni nel nostro Paese attorno alle modalità di accoglienza degli immigrati. Regole che sono d'interesse per lo Stato, ma allo stesso tempo oggetto di riflessione all'interno della Chiesa.

I rappresentanti della nostra emigrazione possono fornire, in questo senso, testimonianza, esperienza e collaborazione. La Chiesa italiana, a sua volta, può realmente considerarsi "madre" di tutti i cattolici italiani, perché non si preoccupa soltanto di coloro che vivono nel territorio nazionale, ma anche di quanti nel mondo sono e si sentono italiani e degli stranieri che vivono in Italia. Anche in questo caso il fondamento di un simile dovere viene da lontano e ce lo ricorda il Vangelo di Matteo: «Ero straniero e mi avete accolto».

Altri motivi di riflessione legati all'emigrazione

Sarà compito dei delegati provenienti dall'estero descrivere le realtà in cui vivono. Di certo l'Italia e la sua Chiesa, proprio in questo delicato momento di scarsa coesione sociale, originata anche dalla discussione sulle questioni dell'immigrazione, hanno bisogno di indicazioni sulle migliori forme d'accoglienza, d'integrazione e d'inculturazione altrove sperimentate.

Nessuno come loro, che già hanno vissuto anche drammaticamente questi problemi, può fornire più vantaggiosa interpretazione. Va detto che se nonostante le condizioni, nel corso degli anni siano profondamente cambiate, i punti nodali sono sempre gli stessi. Si pone soprattutto l'esigenza di non immaginare per gli altri percorsi più pesanti di quelli che i nostri emigranti hanno già a loro tempo sopportato.

Coloro che arrivano all'America del Nord portano ora in Italia, nella loro valigia, non tanto preoccupazioni materiali quanto ansie morali e preoccupazioni pastorali. I problemi dell'inculturazione e del confronto con altre culture interroga in profondità, in quella latitudine, sia i fedeli sia gli operatori pastorali. Può un linguaggio in continua evoluzione esprimere pienamente le preoccupazioni del mondo contemporaneo e allo stesso tempo fornire adeguate risposte pastorali?

Quando in Canada o in America è recitato il Padre Nostro la figura del «Padre celeste» si scontra sicuramente con la realtà delle numerose famiglie divise e sfasciate, dove la figura del padre risulta molto contrastata. Per non parlare poi dello «spezzare il Pane», che rappresenta una metafora del tutto inusuale in un Continente dove questo linguaggio è ben poco esplicativo.

Viceversa l'America Latina ha ben altri problemi con cui confrontarsi: miseria e le dittature, rapimenti e repressioni, analfabetismo e superstizione, oltre al continuo insorgere di nuove sette religiose.

Nell'Australia, quanto mai secolarizzata, la fede è spesso ridotta ad ornamento esteriore, da rispolverare soltanto nelle grandi occasioni.

Per non parlare poi dell'Europa, con le sue contraddizioni ed un'accentuata diminuzione del clero, destinata a lasciare segno anche nel campo delle Missioni Cattoliche Italiane, chiamate anche a confrontarsi con i nuovi orientamenti pastorali delle Chiese locali che ritengono ormai superata la pastorale particolare per gli emigranti.

Quanti sono delegati a Verona in rappresentanza degli italiani nel mondo e coloro che a casa attendono il loro ritorno, sono dunque degli autentici motivi di speranza per la tanta parte della Chiesa. Speranza alimentata dalla vera comunione tra le diverse Chiese locali, che nonostante le loro diversità , sono in ogni caso una cosa sola.

Essa, vale a dire la speranza, diverrà maggiormente concreta quando, in qualità di laici, sapremo assumere tutti le responsabilità che la Chiesa ci affida, accanto a quelle già proprie dei sacerdoti e dei religiosi.

Al giorno d'oggi per poter dare risposte adeguate alle attese del popolo di Dio, occorre che i laici sostengano e completino l'impegno dei sacerdoti, diminuiti ormai ovunque di numero. Non certo per supplirli, ma per consentire loro di svolgere meglio i compiti della loro insostituibile missione, quali l'annuncio del Vangelo, la Riconciliazione e la celebrazione dell'Eucaristia.

A tal proposito è dunque importante che i fedeli laici al riguardo applichino, pienamente, le previsioni del Concilio Ecumenico Vaticano II° e in particolare la «Lumen Gentium» sulla Chiesa e la «Apostolicam actuositatem» sull'apostolato dei laici.

Tutto il resto rappresenta un campo di grande impegno per i laici. Il laico formato per questo compito dalla Chiesa italiana, alla fine rappresenta un buon esempio anche per le altre Chiese nazionali. Se la Chiesa è una, tante sono però le peculiarità e queste diventano una notevole ricchezza, a condizione di saperla riconoscere ed accogliere.

Occorre dunque uno sforzo profondo e continuato nel campo della formazione permanente e scambi di reciproche esperienze. Meglio ancora se tali scambi si ampliano nel settore delle risorse umane con le Chiese dove vivono gli emigranti.

Riflessioni sugli ambiti del Convegno

Al Convegno di Verona, come noto i lavori si articolano in sette ambiti. Proviamo ad individuare, in aggiunta delle considerazioni fin qui volte, quale potrebbe essere l'approccio più vantaggioso a questi temi, da parte dei rappresentanti degli italiani nel mondo.

1. Speranza

Gli emigranti sono essi stesso motivo di speranza. Allo stesso tempo la ricercano e la attendono. Per citare solo un esempio, pensiamo ai connazionali che vivono in Venezuela. Questa gente sta attendendo che la pace e la giustizia trovino maggiore affermazione del loro Paese; che la Chiesa sia meno oppressa; che il loro ruolo dei genitori della scuola cattolica non siano ulteriormente soffocati. Purtroppo questa non è l'unica situazione che ci sta a cuore, ma in questo momento essa è certamente la più emergente. La speranza, quella cristiana, va ben oltre ogni attesa e la prima lettera di Pietro a questo proposito è indubbiamente il documento più efficace (I,I - 2,I0), perché richiama le ragioni essenziali della speranza nella persona del Crocifisso e Risorto. Un camino che dobbiamo fare tenendo presenti le attese e le difficoltà delle diverse categorie di cui si compone la società e il rapporto che manteniamo soprattutto con quelle più deboli.

2. Testimonianza

La testimonianza è l'ambito nel quale i nostri anziani emigranti hanno saputo dare il meglio di se stessi, perché provenienti da una Chiesa «forte» come quella italiana, che attraverso loro ha contribuito ad irradiare molta parte del cristianesimo nel mondo o quantomeno lo hanno irrobustito. Questa testimonianza è ancora presente nelle seconde, terze, quarte, generazioni dell'emigrazione? Un tempo, all'estero, i sacerdoti quando volevano parlare di famiglia sana e coesa indicavano le famiglie italiane. L'esempio era sufficiente e non occorrevano altre parole. Qual è la situazione al giorno d'oggi? Le associazioni dei laici sono poi in grado, nella loro vita associativa, di testimoniare e di aiutare a testimoniare la fede cristiana? Oppure sanno solo rifugiarsi nella nostalgia e si riducono ad operare alla stregua di qualsiasi altra associazione civile, contribuendo in certe situazioni perfino a dividere le comunità più vaste?

3. Vita affettiva

Per quanto riguarda invece la vita affettiva, pensiamo alle difficoltà di tanti nostri connazionali che vivono in Paesi dove l'etica sessuale non esiste più, ed anzi, l'impostazione cristiana a questo riguardo è disattesa e perfino derisa. La famiglia, la paternità e maternità e le relazioni sociali sono profondamente scosse fin dalle loro fondamenta. La Genesi si parla ampiamente il rapporto uomo-donna, genitori-figli. Come possiamo correggere le nostre attuali deformazioni a questo riguardo? Quali percorsi suggerire? Cosa pensiamo poi dei ricongiungimenti familiari? Il migrante è un robot adatto solo per lavorare oppure è anche un soggetto con una propria affettività da tutelare?

4. Lavoro e festa

Lavoro e festa è un tema molto dibattuto nel nostro Paese, dove globalizzazione e modernità reclamano la compressione degli spazi riservati alla festa, danneggiando così il singolo e la società. Le famiglie hanno sempre meno tempo per stare assieme, per consentire una sana educazione delle future generazioni ed il "travaso" delle esperienze generazionali. La Chiesa italiana si è chiaramente espressa su questa questione, ma il problema ormai è diventato ingestibile perché governo, regioni e comuni stanno andando avanti nella strada tracciata dal consumismo, nonostante la contrarietà delle forze sociali. Sembra che le ragioni del capitale prevalgono su quelle della persona e l'argomento sta per diventare una nuova versione delle note «cose nuove», di cui a suo tempo si occupava la «Rerum Novarum». Noi cristiani, infatti, oltre ai contenuti della Scrittura. possiamo contare su una quanto mai esauriente Dottrina Sociale della Chiesa, che attualizza in continuazione l'insegnamento della Chiesa stessa in materia di questioni sociali. Il convegno di Verona si basa molto sulla Parola. Tornerà però utile fare anche un confronto con i nuovi contenuti del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, ricco di spunti per queste tematiche e per tutti i temi sociali in generale. Un'ultima domanda su lavoro e festa: come celebriamo la festa? Considerandola solo l'assenza di lavoro, oppure come giornata da riservare al Signore? Su questa questione i rappresentanti dei migranti potranno di certo riferirci molte situazioni interessanti.

5. Fragilità umana

La fragilità umana non è solo uno dei sottotitoli del Convegno, ma indubbiamente la condizione precipua dell'emigrante e dell'immigrato. Al di là della fragilità come destino d'ogni creatura di fronte, ad esempio, alla malattia e alla morte, non va sottaciuta l'altra fragilità che quella che incontriamo nel cercare la via del bene. I migranti sono sottoposti alle prove continue, generate dai nostri limiti delle nostre debolezze, ma anche dagli ostacoli nell'accoglienza e nell'inserimento e di fronte a tante ingiustizie e persecuzioni. Se Cristo rappresenta uno stile di vita per combattere ogni fragilità, la solidarietà può diventare un motivo di speranza. Il libro del Qoelet (I, 2-9) ci parla dei travagli e degli affanni degli uomini fin dal Vecchio Testamento. Luca invece (10, 25-37) ci spiega cosa fare per ereditare la vita eterna, indicandoci lo splendido esempio del buon Samaritano. La miseria ha attraversato l'esperienza di tutti gli emigranti. Essi ci possono dire come sono riusciti a combatterla, per aiutarci ad uscire a contrastare questa ed altre fragilità umane. Le comunità cristiane devono essere luogo di sostegno per coloro che lottano per vincere le loro fragilità, praticando gesti d'amore verso quanti sono combattuti al proprio interno. Se sappiamo guardare bene, ci accorgeremo ben presto che nessuno può considerarsi del tutto esente da queste forme di fragilità umana.

6. Tradizione

I migranti sono profondamente legati alle loro tradizioni. Accanto a quelle culturali e sociali c'è un analogo attaccamento alla tradizione della fede? Quando ci ostiniamo nel voler salvare le nostre tradizioni, anche quelle ora insostenibili, lo facciamo perché a monte abbiamo come fondamento la nostra fede, oppure perché siamo interessati solamente agli aspetti esteriori? Le devozioni ai nostri Santi, motivo d'interesse nel mondo anche per le nuove generazioni, sono veramente autentiche occasioni di fede, speranza e carità? Il Deuteronomio (6, 1-9) parla dei precetti che il Signore dà al popolo d'Israele ma Giovanni (2,12-14) e il libro dei Proverbi (1, 8-9) ci infonde la gioia della tradizione. Qual è il valore che diamo alla Bibbia? Sappiamo farne un discernimento utile ed attuale? Qual è il modo più efficace per trasmettere questi valori a livello di famiglia e di comunità?

7. Cittadinanza

Infine la cittadinanza. Per il cristiano questo termine indica innanzi tutto il tragitto verso una «città nuova», che un tempo era la Gerusalemme terrena, mentre a noi è invece chiesto di guardare a quella celeste, dove tutti siamo destinati. Gerusalemme un tempo era la città delle differenze: i migranti sono le differenze. I cristiani sono lo stesso tempo cittadini e stranieri, la stessa condizione vissuta cioè dai nostri emigranti. Secondo un'altra accezione parliamo anche in cittadinanza compiuta per indicare l'orizzonte cui le società e gli Stati dovrebbero guardare perchè ciascun individuo possa sentirsi pienamente cittadino, ovunque nel mondo. Questo, a prescindere dalla razza, del sesso, dal censo economico sociale, dalla religione, ecc. Cristo aveva un suo stile di cittadinanza. Cosa fanno i cristiani d'oggi per imitare Cristo Risorto, speranza del mondo?


Verona, 16 ottobre 2006

(*) Riflessione per il 4° Convegno Ecclesiale di Verona
a cura di Luigi Papais
Vice Presidente Nazionale dell'UCEMI e curatore del sito Internet www.ucemi.it
Per contattare l'autore: papais@ucemi.it














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